Ieri alla Festa del Cinema di  Roma presentato il film di Claudio Cupellini,  l’attore romano è Fausto, un italiano che vive a Parigi dove conosce Nadine, aspirante modella. Una storia d’amore senza senso della misura per Elio Germano e Astrid Berges-Frisbey, protagonisti d’Alaska.

5 anni dopo Una vita tranquilla, presentato proprio al Festival Internazionale del Film di Roma e vincitore di un Marc’Aurelio d’Argento per il miglior attore a Toni Servillo, Claudio Cupellini è tornato alla Festa capitolina con Alaska, 4° lungometraggio in arrivo dopo la felice esperienza televisiva targata Gomorra.

110350Salutato Servillo, Cupellini si è affidato alla conclamata bravura di Elio Germano, qui negli abiti di Fausto, italiano a Parigi. Dipendente in un lussuoso hotel della capitale francese, Fausto è ambizioso, progetta scalate alberghiere e sogna di poter aprire un suo ristorante, un giorno, fino a quando non conosce Nadine, giovane modella che incrocia sul tetto del palazzo. In pausa sigaretta. Poche parole, poche ore insieme e tra i due scatta qualcosa, subito interrotta da un tragico evento che porterà Fausto in galera. Per due anni. Ed è qui che parte una rincorsa sentimentale che proseguirà a Milano, tra incidenti, omicidi, suicidi, matrimoni saltati, sparatorie e quant’altro, fino al ritorno a quel potente sentimento da cui tutto era iniziato.

 

Una grande ed epica storia d’amore. Così Cupellini ha presentato Alaska, da lui co-sceneggiato al fianco di Filippo Gravino e Guido Iuculano. Ed è qui, nell’esagerato e a lungo andare ridicolo script, che il film affonda. Un iceberg di scrittura contro cui la pellicola va da subito a sbattere, seminando almeno una decina di situazioni prive di logica. Perché in Alaska succede di tutto, ma di tutto veramente, e sempre improvvisamente. Come se nessuno accendesse il cervello prima di compiere qualsiasi azione, neanche a dirlo esplosiva e portatrice sana di drammatiche conseguenze. E’ l’equilibrio a mancare, il senso della misura, con il concetto di ‘realtà’ evidentemente andato in letargo per un paio d’ore. Sin dai primi minuti, ovvero da questo folgorante incontro tra Fausto e Nadine, l’eccesso straborda, con due ‘sconosciuti’ che si aspettano per due anni. Lui in galera, lei (modella a Milano) fuori ad attenderlo. Dopo averci parlato mezzo pomeriggio. Ma siamo solo al primo vagone di un treno nato sotto il segno dell’esasperazione, sfrecciando oltre la già traballante ‘somma’ di eventi con l’ancor più folle moltiplicazione.

 

Ed è un peccato. Perché la ricca co-produzione Italo-Francia aveva dato a Cupellini tutti gli strumenti necessari per far qualcosa di importante. La bellissima e brava Astrid Berges-Frisbey, poi, regge il confronto con l’ottimo Elio Germano, per una favola, un viaggio dell’eroe vogleriano in cui i due innamorati protagonisti sono chiamati a superare ardue sfide, mostri ed ostacoli vari prima di andare incontro all’agognata felicità di coppia. Una felicità viziata dal denaro, dal successo e dalla carriera, tanto da dover sacrificare la propria stessa vita per amore, pur di scovarla.

 

Stilisticamente e registicamente convincente, perché che Cupellini sappia girare è cosa nota, Alaska si perde nei suoi ridondanti e stancanti eccessi, così forzatamente ripetuti dall’affondare anche quel buono che in superficie prova a farsi notare. Cinque anni, perché tanto dura l’arco temporale messo in scena dal regista, in cui i due protagonisti passeranno a fasi alterne dall’abisso della disperazione alle più alte vette dell’affermzione sociale. Una sorta di ‘staffetta’ emotiva che li vedrà continuamente avvicinarsi ed allontanarsi, per una sfida a distanza tra ‘grande amore’ e ‘seduzioni dal mondo’ che neanche a dirlo vedrà il primo prevalere. Ma a che prezzo, e dopo aver sconfitto quali creature a tre teste? Domande fondamentali a cui Cupellini, Gravino e Iuculano rispondono purtroppo nel peggiore dei modi.

 

 

 

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