Elena Radonicich

Ha finito le riprese del suo nuovo progetto alle 2 di notte ed è subito partita alla volta della 46esima edizione del Giffoni Film Festival: Elena Radonicich non perde tempo. Dal set della fiction Rai La porta rossa, “titolo provvisorio” (come ha precisato la stessa attrice) della serie di Carlo Lucarelli, è arrivata alla Cittadella del Cinema per incontrare i piccoli giurati con una dose supplementare di energia: “Mi sarebbe piaciuto essere immersa da bambina in un contesto critico del genere, mi sarei fatta più domande e avrei capito prima cosa fare da grande, ma all’epoca non avevo ancora la consapevolezza di fare l’attrice”.

13754120_615301645313599_1017036267425523021_nCircondata da quella che chiama ‘l’onda di energia che travolge’, ha negli occhi la grinta da artista e la tenerezza della neomamma. “Credo che questo sia il festival più importante perché si rivolge ai ragazzi, la generazione del futuro”. Tra le sue ‘destinazioni’, per rimanere in tema con il filo conduttore di questa edizione, sono varie e includono le riprese appena iniziate di un’opera prima, Metti una notte, “una commedia bizzarra”, come la definisce l’attrice, e 1993, sequel della serie Sky 1992. “Inizieremo a girare fra poco ma non posso dire che direzione prenderà Giulia, il mio personaggio, per lei ho immaginato vari scenari e sbirciato nella sceneggiatura della prima puntata, ma tutto qui. Ogni tanto, però, mi piace fare qualche proposta qua e là perché sono entusiasta all’idea di tornare a lavorare in un prodotto dalla sceneggiatura così stratificata, con protagonisti “rotti” e pieni di evidenti contraddizioni”.

Anche se le tremano le gambe all’idea di prestare il volto a personaggi realmente esistiti, spesso si ritrova ad interpretare biopic: “Raccontare queste storie è importante perché fanno scoprire qualcosa di tutti noi, come Adriano Olivetti o Luisa Spagnoli, esempi che alzano l’asticella e ci spronano a raggiungere i nostri obiettivi”.AntoniaLiskova_Giffoni2016_RadioSelfie.it

A 31 anni vanta una carriera variegata e poliedrica, che si è goduta in ogni fase: “Stracult, ad esempio – dice con un
sorriso – è stata un’esperienza tv indimenticabile: facevo la sgallettata vestita in modo assurdo, come fossi la protagonista mancata di un film di Tarantino, ma ce la mettevo tutta per non sembrare imbarazzante”.

A chi critica il panorama cinematografico made in Italy risponde: “Non credo che il cinema italiano voglia tendere a quello americano. Il caso dell’anno, Lo chiamavano Jeeg Robot, funziona perché non fa nulla per sembrare altro, anzi usa un linguaggio completamente nostro. In fondo reinventare è meglio che copiare. Perché rifare Breaking Bad che è già perfetto così com’è? Meglio lanciare progetti originali come Gomorra o 1992 e rimarcare così la nostra identità culturale”.

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