Forse è il caso di dire che questa terza edizione del CFF-Civitanova Film Festival è stata un successone. La dimostrazione lo è stasera più delle altre sere dove, nonostante la finale di Champions, la sala era talmente piena che qualcuno è stato costretto a rimanere in piedi. Dopo la proiezione degli ultimi sei corti in concorso, domani si terrà la serata di premiazione, abbiamo intervistato Peppe Barbera, direttore artistico del Festival.

Quando e come nasce l’idea di questo Festival ma soprattutto perché?
Nasce tre anni fa con il coinvolgimento di Michele Fofi, colui a cui è venuta l’idea, a cui si è accesa la lampadina, ha contattato l’Associazione Culturale Fango&Assami di cui io sono vicepresidente e co-fondatore, con la quale ci siamo sempre occupati dell’ideazione di cortometraggi e dell’organizzazione di eventi culturali, ma mai un Festival; abbiamo così deciso di sviluppare l’intuizione di Michele Fofi, che da solo non avrebbe mai potuto ottemperare a tutto e, fortunatamente le cose sono andate piuttosto bene. Il perché è da ricercare in primis in quella che può definirsi un’egoistica esigenza di persone a cui piacciono i film, il cinema ed eventi come questi che finora non c’erano quindi ci siamo rimboccati le maniche, invece di stare lì a lamentarci, e l’abbiamo creato noi. Oltre questo egoismo c’è anche una sfumatura nobile: l’idea di creare una comunità, invogliarla ad uscire di casa per assistere ad uno spettacolo prendendone parte dal primo momento in cui si mette piede a teatro fino all’ultimo secondo in cui si dialoga di ciò che si è visto e se ne discute amabilmente; uno scambio culturale che va’ oltre i social o l’abitudine, sempre più consueta, di guardare i film a casa. Quest’atmosfera si respira per tutta la durata del Festival che accoglie ogni tipo di spettatore, una forma di aggregazione senza pretese intellettuali ma solo la semplice voglia di voler indirizzare lo sguardo di chi guarda a film che sono fatti in modi diversi dalla stessa maniera a cui siamo abituati attraverso la ricerca di autori non famosissimi eppure grandissimi artisti che vengono qui e si spendono per darci uno sguardo d’autore.

Il cortometraggio è il genere su cui si focalizza il Festival.
E’ sicuramente vero che sta prendendo sempre più piega, a partire dai grandi Festival internazionali, ma a livello istituzionale non è ancora riconosciuto come vera e propria forma d’arte, nei fondi e nei finanziamenti stanziati per il cinema il cortometraggio non è incluso. Esiste da quando esiste il cinema, i fratelli Lumiere sono forse l’esempio su tutti e prima di tutti poi, nel tempo, è sicuramente cambiato insieme al cinema stesso, se prima era un metodo di sperimentazione per chi si affacciava alla settima arte ora è un vero e proprio trampolino di lancio per chi aspira a fare il regista.

L’affluenza di gente ci fa’ capire che questa edizione è stata un successo. Più degli altri anni?
La mole di persone che stasera si è seduta in sala ha sorpreso anche noi, di certo, vista la finale di Champions, era piuttosto imprevedibile e quantomeno impensabile trovare persone in piedi per mancanza di posto. Ne’ siamo entusiasti perché la partecipazione è rimasta costante nel tempo e noi cerchiamo di fare del nostro meglio per diffondere la passione per il cinema anche durante l’anno come la rassegna Cinema D’Essai che durante l’inverno valorizza il Cecchetti (il teatro dove si svolge l’evento) e avvicina lo spettatore ad un cinema ricercato non diffuso dalle multisala.

Quanto le nuove piattaforme, i nuovi modi di vedere un film, inquinano il cinema?
Non credo che il cinema possa essere inquinato. Per quanto personalmente possa prediligere la monosala, ogni mezzo utilizzato per approcciarsi alla settimana arte va bene, l’importante è che la gente non confonda il “Cinema” di un certo tipo, ricercato e sviluppato, con quello che può essere un prodotto ideato per la diffusione attraverso altri strumenti che potrebbero non valorizzarlo in modo opportuno.

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