di Valeria Lotti

Cari lettori, siamo nel pieno del festival di Cannes. Il primo mercoledì è stata una lunga giornata, segnata dall’apertura della sezione “Un certain regard”, competizione parallela a quella che insegue la Palma d’Oro. E si è trattato di un esordio tutto al femminile, con due film di due registe esordienti: “Bull” di Annie Silverstein e “La femme de mon frère” di Monia Chokri. Due opere diversissime, ma se si dovesse sceglierne una sarebbe senza dubbio “Bull”: nonostante sia una storia di formazione abbastanza semplice e a tratti anche prevedibile – una ragazzaccia difficile che instaura un rapporto di amicizia con un anziano torero – trae vantaggio dall’ottima prestazione della giovane attrice protagonista, Amber Havard. “La femme de mon frère”, invece, ci dà la sensazione di assistere a una sitcom degli anni novanta, di quelle con risate forzate, troppi dialoghi e personaggi esagerati. Peccato.

Lo ripeto, mercoledì è stata una giornata davvero lunghissima. E scegliere avventatamente di guardare l’ultima proiezione della sera ha contribuito molto alla mia stanchezza. Ma ne è valsa la pena! “Bacurau” di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles si è rivelato capace non solo di tenermi sveglia, ma anche di appassionarmi. È una storia assurda, ambientata in un imprecisato futuro prossimo, incentrata su una piccola comunità brasiliana che deve difendersi dagli attacchi di misteriosi killer. Sento che va letta come un’allegoria, ma di cosa esattamente? Ci sto ancora riflettendo. La situazione attuale in Brasile mi fa pensare che la soppressione dei diritti dei popoli autoctoni da parte dei potenti possa essere una delle chiavi interpretative. Questo film sarebbe quindi una triste profezia, che vuole risvegliare la consapevolezza del pubblico mondiale? Forse. Quel che è sicuro è che va esplorato su molteplici livelli e apprezzato su tutti.

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